IL COLLARE
- Vieni a prendere un caffè, domenica? Dimmi di sì.-
Il messaggio al cellulare da parte di Alessandra mi
aveva sorpreso. Un invito che seguiva il nostro primo incontro, la conoscenza
cercata e voluta da entrambi ed ormai troppo rinviata da parte mia.
Alessandra, 29 anni, fisico snello e provocante con
due seni che sembrano gridare in ogni momento il piacere. Una bella donna,
senza dubbio, con una sorta di mistero, di inappagatezza che chiedeva di essere
approfondito, scoperto. Capelli neri che scendono sulle spalle, appena mossi e
ribelli e che profumavano di frutta. Inconfondibile aroma che era rimasto
agganciato al ricordo del primo incontro, quando avevo sfiorato il suo viso per
un bacio di saluto.
Alessandra gestisce un negozio di articoli per
animali: una sorta di farmacia veterinaria nell’immediata periferia della mia
città, sulla strada fra il mio ufficio e casa. Vi ero entrato per un motivo
preciso, alla ricerca di un oggetto destinato a tutt’altro pensiero. Un regalo
che volevo fare per una persona speciale: un collare di cuoio.
Fu lei stessa a servirmi e ad aiutarmi nella scelta.
Era incuriosita e forse aveva capito che qualcosa di strano c’era. Credo che
generalmente nasca una sorta di confidenza tra venditore ed acquirente: si
chiedono consigli, suggerimenti, si parla immancabilmente dell’animale, se ne
tessono elogi. Ogni padrone con la sua bestia è così, lo so per esperienza.
Tutti pronti a dire, che bello, che splendido, fa questo, fa quello. Del mio
cane… a me non interessava nulla. La mia attenzione era più che altro rivolta
al collare, al materiale, alla foggia, alla bellezza.
- È di taglia grande?- chiedeva lei, ed io in una
sorta di imbarazzo indugiavo nella risposta, quasi a voler evitare qualsiasi
spiegazione.
Mi sembrava un po’ difficile ammettere che il
collare fosse destinato ad una donna, per completare quelle fantasie che io e
lei coltivavamo insieme. Il collare era per Eva, quella splendida creatura che
faceva bollire il mio sangue, che metteva erotismo nei miei pensieri, che si
donava al mio piacere in maniera impeccabile.
- Sì, mi sembra una buona scelta!- sottolineò
Alessandra riponendo l’oggetto in una piccola scatola di cartone bianco.
- Credo che il suo cane resterà contento.- Aggiunse
come per dire, guarda che sono curiosa e non hai ancora detto nulla.
- È una cagna!- Dissi con la massima indifferenza,
quasi infastidito dalle domande.
Tirai fuori il portafoglio mentre batteva il prezzo
sulla cassa. Lei come se nulla fosse continuava a parlare, normalmente, come
credo faccia sempre con i clienti.
- Ma che razza è?- Chiese mentre mi dava il resto.
- Un lupo?-
ipotizzò sorridendomi.
- No, un bipede!- Risposi guardandola negli occhi.
La fissai in un modo particolare, stranissimo. Credo
di non aver mai guardato in vita mia una
donna con quella intensità fulminea. Uno sguardo che voleva raccontare la
storia di Eva, che nascondeva una storia di piacere. Avvertii un brivido
attraversare i suoi occhi, come se fosse rimasta immobilizzata dalle mie
parole.
Non una parola in più, non una domanda. Come se
avesse capito che nulla di più avrebbe potuto chiedere senza sapere una verità
che non si poteva raccontare.
Ci eravamo rivisti quasi un mese dopo quella volta
per acquistare qualcosa destinato davvero ad un animale. Lei timidamente chiese
se il collare era piaciuto.
- Non è stato ancora consegnato! Ma credo di sì;
almeno dalla reazione al telefono, penso di sì.-
Una risposta che nascondeva un discorso ben preciso,
una situazione che oramai era evidentemente non collegabile ad un animale.
- È una storia lunga- dissi fissandola con la stessa
intensità della prima volta - che non tutti vorrebbero ascoltare. E forse non
so nemmeno se vale la pena raccontare…-
- A me piacerebbe ascoltarla- rispose lei in un
fiotto di parole, quasi spezzando la mia frase. Lo aveva detto di colpo, come
se fosse il suo desiderio più vivo e cercato.
- Se vuoi…. Possiamo vederci per un caffè- ammisi
quasi dando un senso di fastidio alle parole.
La curiosità di Alessandra era lampante. Ci siamo risentiti
dopo un paio di settimane. Non sapevo nemmeno il suo nome e tantomeno lei
conosceva il mio.
- Avrei da raccontare una lunga storia…- le dissi
quando rispose alla cornetta. Lei per un momento restò interdetta come per
rifare il calcolo mnemonico di chi fosse quella voce.
- Ah, sei tu? Quello del “bipede”. Scusa, ma non so
nemmeno il tuo nome.- protestò lei.
- Ti va di prendere un caffè insieme?- fu la mia
conseguente domanda, buttata là come se non mi interessasse minimamente
acconsentire alla sue richieste.
La pausa per il pranzo fu l’occasione appena un paio
di giorni dopo. Mi aspettava davanti al suo negozio. Salì in macchina quasi
correndo.
L’auto saliva piano su per i tornanti della collina.
Non un caffè, ma un pranzo insieme, visto che tutti e due avevamo tempo.
Le parole sembravano naturali tra di noi. La sua
vita, il lavoro, le cose quotidiane, le conoscenze, i rapporti con gli altri.
Lei raccontava la sua storia a tratti: una sorta di convivenza finita da poco e
durata un anno e mezzo. Sembrava il grande amore. No, non lo era. Se ne era
accorta subito che lui non poteva essere l’amore che ti prende il cuore, magari
che te lo infiamma, te lo fa a pezzi, ma che comunque sappia di passione.
Alessandra non era una ragazza banale. Amava il teatro, il cinema, l’arte.
Preferiva leggere più che uscire per pub o discoteche. Viversi l’uomo che le
stava accanto. Lui invece era per la trasgressione serale.
Trasgressione. Se si vuole considerare tale girare
per locali con gli amici e parlare per ore delle solite stronzate. Non erano
fatti l’uno per l’altra ed anche i primi tempi la passione non aveva fatto
breccia nelle loro menti. E pensare che lui era ben più grande di lei e più
maturo, almeno stando all’anagrafe, ma era perennemente preda di quell’animo
fanciullesco che per alibi confondiamo con l’essere un poco Peter Pan. La
partita la domenica allo stadio o in tv al bar con gli amici, la settimana
bianca, le vacanze nei mari tropicali. Cose interessantissime ma sempre
accompagnate da quella mancanza di un qualcosa che le avrebbe rese
indimenticabili per entrambi.
Alessandra cercava.
Cercava dentro di sè, ma non sapeva nemmeno lei
cosa. Insoddisfazione di sè stessa, insoddisfazione di come viveva il sesso, di
come lo proponevano. Fantasie che aleggiavano dentro di lei e che era più
conveniente tenere segrete. Non indagai su quale tipo di fantasie. Mi piace
scoprire le persone un pò alla volta, spogliarle della loro stessa pelle, come
per svolgere il filo di una matassa intricata. La storia era finita di recente,
chiusa come si conviene: da buoni amici. Un giorno per conoscersi ed un anno
per aspettare il momento opportuno per chiudere il rapporto. Sì, capita spesso
che sia così, lasciandosi trascinare, convinti che poi qualcosa cambi, che
all’improvviso arrivi la vampata che incendia tutto e che ti permette di vedere
l’altro con occhi diversi. Amore e passione: questo cerchiamo noi tutti. Spesso
troviamo l’amore, spesso la sola passione. Ma il primo non può esistere senza
la seconda. È fondamentale l’aspetto. Puoi vivere la passione, anche la più
sconvolgente e farlo senza amore, senza il coinvolgimento del sentimento. Così
gira il mondo e così giriamo noi tutti alla perenne ricerca di quel qualcosa
che unisca amore e passione.
Poi la sua domanda. La curiosità inappagata che
sembrava bruciarle dentro. Un fuoco lento ma inesorabile.
- Lo hai poi consegnato il collare? Cosa ha detto?-
tutto di un fiato come se fosse un’unica domanda.
- No. Non ancora. Eva è lontana, non solo di spazio,
e non stiamo attraversando un buon periodo. Diciamo che tutto è fermo, una
sorta di quiescenza ascetica.-
Le raccontai per sommi capi la storia con Eva, come
era nata, come era cresciuta. Nessun particolare da rimarcare, solo puntando
sulla passione, sul significato che la passione aveva per noi. Nessun racconto
dell’intimità, ma solo la storia.
Lei seguiva con lo sguardo attento. Sentivo i suoi
occhi che cercavano i miei, ma quando volutamente ero io a fissarla la sentivo
in difficoltà e l’abbassare piano lo sguardo sembrava una cosa naturale.
- Come siete arrivati al collare?- chiese lei
interrompendomi.
- Era una nostra fantasia. Si scava nelle fantasie,
si scuotono per sentirne la forza e poi ti accorgi che emergono dirompenti con
tutto il loro erotismo. Amo vivere le fantasie, sentirle, provocarle,
suscitarle. Sono come teneri germogli che vengono innestati per vederli
crescere. Ed è bello sentire l’altro che può dirti… sì. Ci sono diversi modi
per chiedere e per domandare. La passione e la sensualità ne richiede uno particolare.
La complicità. Essere consapevoli di questo, della complicità che può costruire
tra due persone e non certo distruggere. In quei momenti di complicità si può
dire tutto, anche no. Nulla sarebbe irrecuperabile, niente sarebbe fastidioso e
invadente. Essere complici non è un punto di arrivo, è un punto di partenza,
fondamentale. La complicità ti porta a pensare che è la libertà che ti
incatena, non la negazione, il divieto, il proibire, anche solo in ragione
dell’amore.-
Nulla di più fu chiesto a quel primo incontro, come
se fosse tacito l’accordo tra noi di rivederci, di approfondire temi ed
argomenti che si erano evitati per forza.
Appena il giorno dopo, il suo messaggio sul display
del telefonino. La chiamai per chiedere se andava bene vederci subito dopo il
pranzo.
****
Alessandra viveva in quell’appartamento che il padre
le aveva comperato in centro. Era stato il nido d’amore di quella precedente
convivenza ammezzata che mi aveva raccontato.
Questa volta notai con maggiore attenzione i dettagli
di quella donna. La bocca carnosa, il
sorriso che sembrava sempre nascondere la timidezza, il corpo di donna ben
modellato. Il nero le donava, esaltava la sua carnagione bianca, gli occhi
verde chiaro che staccavano ed impreziosivano quel volto ovale, ben disegnato.
Gli stivali la facevano appena più alta di come io l’avevo conosciuta. I
capelli erano raccolti indietro lasciando scoperto il suo collo, slanciato e
ben modellato. Due orecchini a cerchio esaltavano ancora di più quella figura.
Ci sedemmo nel salotto per gustare il caffè. L’uno di fronte all’altra, quasi a volersi
scoprire di nuovo e questa volta con maggiore spudoratezza, complice la
solitudine di quella casa.
- Ho una cosa da dirti!- annunciò senza disagio.
- Ricordi il giorno che tu sei venuto a comperare il
collare? Sono rimasta colpita. Certo, la reazione naturale sarebbe dovuta
essere: “ma senti che razza di bastardo, che viscido”. Invece ho sentito
qualcosa dentro di me, una scossa che forse avvisava che qualcosa si stava
muovendo.-
Prese l’ultima sorsata di caffè e si accese una
sigaretta. Ne offrì una anche a me. La guardavo in silenzio, senza
interromperla nelle parole e nei gesti.
- Ho preso anche io, per me, il collare che tu avevi
acquistato.-
Sentii i suoi occhi che ora scavavano i miei. Erano
dentro di me, come per chiedere il mio pensiero, per conoscere la mia reazione, per cavarmi di
bocca le parole che lei voleva ascoltare.
- Non ci credi, vero? Ti sembra strano che io lo
abbia fatto?- la sua curiosità aumentava con le domande, come per cercare
risposte che si dovevano adattare al suo volere.
- No, sbagli. Non mi sembra strano che tu lo abbia
fatto….- Risposi soffiando il fumo dell’ennesima boccata di sigaretta.
- Vieni…- disse lei alzandosi di scatto.
Mi porse la sua mano, come per essere lei a volermi
portare. Mi condusse in camera da letto. Armeggiò nell’armadio e ne cavò fuori
una piccola scatola bianca, simile a quella che aveva lei stessa usato per il
collare di Eva.
- Vedi? L’ho preso identico a quello che tu avevi
scelto per lei-. Disse senza vergogna aprendo la piccola scatola.
In quel momento la sentivo forte nelle parole, ma
fragile nel suo stato di animo. La sentivo tremare appena, scossa da una sorta
di eccitazione e paura. Come chi sta per buttarsi e non vuole, come chi sta per
spiccare il volo ed ha paura di spiaccicarsi in terra.
Tante le domande che avrei potuto porle,
incalzandola, fino a svuotarla. come lei stava desiderando.
Non una parola, non una frase, solo lo sguardo mio
su di lei che sembrava spogliarla di tutto, che la osservava nei pensieri,
nelle emozioni.
La mia mano le sfiorò il viso, piano. Una carezza
leggera che sentiva il calore del suo viso per poi tornare indietro con il
dorso della mia mano per sentire i piccoli tremiti della pelle. Accarezzavo
piano il collo per sentirlo come se mi appartenesse, per saggiarne la
consistenza, la sensualità, come per chiedere a se stessa, alle mie mani, se
fosse pronto per indossare quel collare che teneva tra le dita.
- Lo hai già indossato il tuo collare? Hai provato a
sentire il piacere di farlo?- La voce era volutamente sensuale, calma ma
decisa.
Ora il suo tremolio era più evidente, più marcato.
Avvertivo distintamente la sua eccitazione, ma anche la paura, il timore di
confessarsi a me.
- Sì, l’ho fatto.- E chiuse gli occhi,
abbandonandosi a quella carezza che non aveva fine.
- Ho tenuto quel collare tre giorni chiuso
nell’armadio. Ho pensato più volte di indossarlo, di sapere che effetto faceva
sentirselo addosso. Era una tentazione. E più mi tentava e più dicevo a me
stessa di no. Scacciavo il pensiero, me ne allontanavo. Lo rifiutavo come per
testimoniare che non era un mio desiderio, che ero semplicemente pazza. Ma la
tentazione si ripresentava puntuale e più forte di prima. Avevo paura a chiedermi
se era quello che desideravo, se era una fantasia che non volevo ammettere a me
stessa. Mi chiedevo perché sentivo questo bisogno, perché lo cercavo, perché mi
era bastato il tuo sguardo per farmi essere così pazza.-
Anche lei ora parlava calma. Un tono quasi languido,
sommesso, a tratti estasiato. Sentivo che il suo viso ora cercava la mia mano,
ci si sfregava lentamente contro, cercando un contatto più intimo, più
sensuale. Cercava il calore della mia mano, voleva sentire le emozioni passare
attraverso la pelle, costruirle insieme, come in un rapporto continuo di dare
ed avere.
La feci sedere sul letto senza voler staccare la mia
mano dal suo viso, quasi a condurla attraverso quella carezza. Le mie labbra si
posarono piano su quel viso per baciarlo, per sentire il contatto che cambiava
e che si faceva più sensuale. Piccoli baci appena appoggiati sulla pelle per
tentare ogni centimetro, per respirare la fragranza del sapore dolciastro che
il suo corpo emana. Poi le sue labbra, la sua bocca. Sentire i piccoli
sussulti, il suo desiderio di abbandonarsi, di volersi concedere a quella
passione che improvvisa stava scoprendo. In piedi davanti a lei, piegato sulla
sua bocca come per succhiarne il piacere, come per posarlo senza fretta. Le mie
mani che stringevano piano il suo viso, leggermente reclinato in dietro in una
posizione che era fatta per la devozione per essere già pronta a donarsi.
- E cosa hai provato quando hai sentito il collare,
quando hai sentito il suo odore, quando lo hai allacciato?- le chiesi
staccandomi piano dalle sue labbra, solo per permettere alla mia voce di avere
suono.
- È questo ciò che tu desideri? E’ questo il piacere
che era nascosto dentro di te, che non volevi riconoscere, far emergere per il timore di non essere in grado di controllare?-
Proseguivo senza aspettare le sue parole come se
fosse un tacito accordo: sarò io a parlare, tu devi solo ascoltare.
-Sarò io, ora a posarlo sul tuo collo, a sentire
l’emozione, il piacere che hai immaginato e voluto dentro la tua fantasia-.
I baci si facevano più audaci intramezzati dalle
parole. La sensualità cresceva diventando eccitazione vera. Iniziai a
spogliarla piano, facendo gustare ad entrambi quel piacere di prendersi e
donarsi. Il corpo di Alessandra era davvero bello. La nudità del busto rendeva
gloria a quei seni deliziosi, sodi, robusti, vigorosi. Capezzoli bruni che
sembravano essere fatti per suggerne piacere, per essere baciati senza sosta.
Capezzoli grandi e prepotenti che sembravano ergersi da quei seni come
sentinelle del piacere. Mi piegai di più
per poterle baciare il seno, fino ad inginocchiarmi davanti a lei. Le sue mani
erano appoggiate sul letto, le braccia abbandonate all’indietro seguendo la
testa e la piccola coda che raccoglieva i suoi capelli. Gli occhi socchiusi
come per assaporare il piacere più recesso, i capezzoli tra le labbra, il
sapore della sua pelle, la sua carne offerta come pietanza succulenta. La mia
lingua scorreva avida su tanta dolcezza con movimenti ora rapidi ora
improvvisamente rallentati, succhiando di lei tutto il piacere. Le mie mani le
stringevano i fianchi, ed accarezzavano
piano il velluto della sua epidermide fremente. Fu lei rapida a completare la
svestizione slacciando quasi in modo rabbioso la grande cintura d’ornamento ed
i pantaloni, lasciandoli cadere in terra, in mezzo alle mie gambe. L’aiutai
solo a togliersi gli stivali, sfilandoli lentamente come atto di profondo
erotismo, come per suggellare la sua nudità. Aveva un piercing all’ombelico. Un
piccolo anello d’oro giallo con incastonato un brillante che sembrava splendere
di luce propria. Sull’inguine una farfalla tatuata con le ali dispiegate,
simbolo di una libertà desiderata e che forse mai era stata raggiunta.
Ora le sue braccia cingevano il mio collo, le sue
mani passavano lente sulla mia schiena. Mi alzai e presi il collare che aveva
posato accanto a sé.
- Vuoi che sia io a posarlo su di te? Lo vuoi
Alessandra? Conosci il significato di questo gesto?-
- Sì, lo voglio…. È la cosa che desidero di più.-
rispose lei aprendo gli occhi e fissandomi con un'intensità marcata,
trasmettendo tutto il desiderio che sentiva dentro.
Il collare sfiorava la sua pelle, il suo viso, come
per inebriarla con il profumo di cuoio, per misurare gli attimi che precedevano
quell’essenza di appartenenza.
Movimenti lentissimi, quasi da bradipo, studiati,
come se lei fosse preda in una savana e che non avesse oramai più scampo con il
suo carnefice gioca con il terrore, sicuro oramai di trasformarla nel suo
pasto.
Adagiai il collare sulla sua pelle accompagnando
quel gesto con lo sguardo, senza mai staccare gli occhi dai suoi. Lei piegò la
testa, abbassando gli occhi, per facilitare la vestizione, godendo di quel
gesto che aveva sognato e che aveva scoperto così forte, incalzante nella sua
fantasia.
Il collare era perfetto, splendido su quel corpo
nudo e candido. Prezioso ornamento per una donna che aveva scelto
all’improvviso di sentirsi cagna, di appartenere, di essere creta nella mani di
uno scultore, abbandonata ad un destino che la renderà opera d’arte.
La feci alzare tenendola per mano. La avvicinai allo
specchio grande che spezzava le ante dell’armadio.
- Guardati Alessandra. Guarda come è splendido il
tuo corpo, ora.-
Lei era immobile davanti allo specchio, il suo corpo
in primo piano che faceva da quinta alla
mia presenza, come attore che aspetta di entrare sul palcoscenico.
Iniziai a carezzarle i seni abbracciandola e
lasciandola specchiarsi nella sua nudità, in quel segno di appartenenza che lei
stava adorando. I suoi capezzoli stretti piano, risucchiati lentamente,
crescevano turgidi come il piacere. La mia bocca baciava il suo collo appena scoperto dal
collare e indugiava sulle sue spalle. La sua testa ora si piegava languidamente
all’indietro piano, esaltando la forza
del suo petto, e rapiva il piacere che le mie mani le procurava e che le mie
dita stimolavano.
Mani che scendevano lentamente, accarezzandole senza
sosta il ventre, l’ombelico, giocando con il suo piercing e ancora più giù.
Mani che sapevano ascoltare il suo godimento, che si muovevano leggere, appena
sfiorando la pelle, ma al tempo stesso forti, che sapevano far fremere la
donna. Il suo sesso era bagnato, le mie dita lo scoprirono così, docile e
pronto al piacere, aprendolo, divaricando piano le sue labbra per assaporare il
clitoride che sembra essere piantato li per l’adorazione che merita e che
richiede.
Piccoli tocchi che sembravano rubarlo il piacere,
carezze delle dita che sembravano volerlo travasare il piacere, crearne di
nuovo.
Lei si girò piano. Il desiderio che vedevo riflesso
nello specchio, ora potevo gustarlo direttamente nei suoi occhi.
I suoi gesti erano lenti come i miei nello
spogliarmi, nel sentire il profumo della pelle che si sprigionava dalla
camicia. Improvvisamente, io stavo diventando la sua preda, il suo pasto.
Nudi, l’uno di fronte all’altra. Pelle che sfiorava
la pelle, brividi di piacere che si intrecciavano, emozioni che incorniciavano
l’attimo, il momento, corpi che sembravano liberare il desiderio di possedersi,
di gustarsi. Bocche che respiravano il piacere dell’altro, respiri che si
donavano alla sensualità, erotismo amplificato dal semplice gesto, dallo
sfiorarsi. Musica dei nostri corpi che aumentasse lentamente di volume, fino a
diventare sinfonia di rara bellezza.
Le mani si rincorrevano, cercavano, frugavano,
toccavano il piacere, lo provocavano, lo volevano. Il suo sesso si allargava al
mio piacere, al desiderio di conquistarlo. I nostri corpi liberi fluttuavano nella stanza, pallide farfalle
che si incrociavano in una infinita danza d’amore.
Alessandra godeva di quel piacere, delle mie
carezze, del mio giocare con il suo seno, fin quasi a torturarlo, con il suo
sesso, che spalmavo sulla mia bocca, che cercavo con la lingua e lo provocavo
fino a sentire l’orgasmo ripetuto. Tutto in modo così naturale senza il minimo sforzo. Avvertivo il corpo
irrigidirsi di colpo, come se fosse schizzato in una dimensione diversa, dove
solo il piacere governa quel mondo, per poi sentirlo ripiombare nella sua
pesantezza terrestre, pronto per un nuovo viaggio attraverso la sublimazione
del piacere.
****
- Stai bene? –chiese Alessandra non appena la sua
voce fu tornata alla normalità, dopo il godimento che le aveva
attraversato corpo e mente.
- Sì, sto bene- risposi lentamente.
- Spero che non ti abbia deluso. Che sia riuscita a
farti sentire il piacere come tu lo stavi dando a me-. Replicò lei contraendo i
muscoli del suo sesso, per sentirmi ancora dentro di sé.
- Come posso esserlo? Ho conosciuto la tua intimità,
quella di una donna capace di regalare ad un uomo la sua mente, la sua
sensualità, la sua femminilità.-
-Tu, me la stai rubando l’anima.- la sentii
sussurrare.
- Vorrei sorseggiare la tua anima, succhiare la tua
mente piano, come se fosse nettare, sfamarmi della tua fantasia, trasformarla,
aumentarla, dilatarla, così come vorrei farlo con il tuo corpo. Un piacere che
non conosca fine, che sia irrinunciabile, che resti il primo pensiero appena
svegli e che sia l’ultimo prima di chiudere gli occhi, accompagnandoti nel
sogno, immaginando la figura di quell’uomo capace di farti sentire donna come
tu chiedi, come tu hai sempre desiderato. Voglio sentire le tue reazioni, non
solo immaginarle appena uscito da questo letto, ma leggerle, leggere la tua
eccitazione, la follia che ti porta a perderti dietro alle mie parole, alle mie
emozioni. Ma ci sarà tempo e non mancherò di farlo, lo sai benissimo.-
- È stato come l’ho immaginato, come l’ho sognato
quella sera che ho voluto indossare il collare.-
- Mi piace sapere che mi riconosci come una cagna fa
con il suo padrone, dall’odore e dal sapore della sua pelle, mi piace sapere
che vuoi affidare la tua anima a me, che desideri che sia io a svuotarla di ciò
che fino ad oggi la rendeva forte e riempirla di nuove fantasie ed emozioni.
Spero solo che non ti fermerai a questo, al primo incontro che vi è stato oggi.
- No, non mi fermerò. Pazza sì, ma non fino a questo punto.!- Rispose
Alessandra sussurrandolo con una naturale ironia che sapeva di nuovo erotismo.
- Vorrei sapere che il tuo desiderio vissuto
attraverso di me è grande. Sapere che tu possa dire: “la mia anima da oggi ti
appartiene: fai di lei ciò che più ritieni sia giusto”. Sapere che vorresti
chiedere e non hai la forza per farlo, se non al mio comando, al mio volere.
- Perché non mi hai dato ancora il tuo piacere.
Perché non hai voluto godere dentro di me
come ti ho chiesto? Non ti piaccio? Non riesco a
darti il piacere che tu desideri?-
Non rispondevo alle sue parole, all’incalzare di
quelle domande uscite dalla sua bocca con la forza dell’insicurezza. Non era la
mancanza del piacere. No. Era il desiderio di stordirla di me, travolgerla con
la sua stessa passione. Per il mio piacere ci sarebbe stato tempo. Il mio
piacere sarebbe giunto quando il suo fosse stato appagato.
- Sapere che hai desiderato le mie parole, che le
hai cercate, come un animale che fiuta l’aria, la sua preda, la sente, la
insegue, la bracca con l’unico obiettivo di farla sua, impossessarsi del suo
corpo, soddisfare la propria fame, fino a che diventi ingordigia, attraverso la
carne di quella preda così a lungo desiderata mi è stato, per oggi,
sufficiente.-
Continuavo a raccontare di lei e delle sue emozioni,
senza sfiorare le mie, come per tentarla ad essere così spudorata da essere lei
stessa a volere, a cercare il mio piacere.
Alessandra mi guardava, fissandomi, catturando le
mie parole. Ogni sguardo sembrava una risposta, tanto erano penetranti le mie
emozioni.
- Non chiedo se lo hai fatto, sarebbe banale
chiedertelo. Tu imparerai a sentire attraverso la mia pelle, scegliendo il gioco
più sottile e forse più crudele: il vivere la fantasia. Non esiste forza che
possa paragonarsi alla parola, a quanto possa essere sconvolgente, a quanto
possa fare per la mente degli altri. La forza della parola intesa come mezzo
per trasportare le emozioni e la mente.-
- Tu oggi…. tu hai scopato il mio cervello. Non solo
il mio corpo. Sono piena di te e vuota di me stessa, vuota di ogni pensiero che
non possa essere il tuo.-
- La parola innesta nella mente cunei che sanno
andare profondi, che scoprono i nervi e li lasciano lì al sole a vibrare,
godendo di quella sofferenza e di quel piacere che sanno provocare. Ti chiedi
se saprò fare tutto ciò? O sai già la risposta? So benissimo che vuoi vivere
come meglio credi la tua passione, senza nessuna paura: fidati di me, affida la
tua anima e la tua mente a me e lascia che sia io a guidarti a trasportarti nel
cuore della fantasia a trasformare i tuoi pensieri e renderli simili per il
nostro unico piacere. Sai benissimo quello che puoi vivere con me e sai che
sarà unico e difficilmente cancellabile dalla tua mente.-
- Sai già la risposta, non sarei qui, ora, così tra
le tue braccia, incapace di staccarmi da te. Sono felice che tutto questo sia
accaduto e so che tra poco dovrò maledire il momento stesso che è accaduto.
Sarà difficile lasciarti andare e pensare che non possa averti, come io
vorrei.- Alessandra aveva sospirato quelle parole con un atto di sofferenza,
come chi è attraversato dalla luce e sa che quel lampo a breve si spegnerà.
- Voglio che il mio nome non sia scritto nella tua
mente da semplice inchiostro. Voglio che sia scritto con il fuoco della
passione, quella che ora conosci, quella che sta bruciando dentro di te.-
Alessandra non rispose. Lo fece la sua bocca. La sua
lingua si infilò dentro la mia bocca, alla ricerca di un piacere che non
conosceva limite. Ora era lei che voleva il mio piacere. Non osava chiederlo
con le parole, ma lo faceva con la sensualità, con la sua femminilità che era
uscita fuori così all’improvviso.
E lo fece, bevendo il mio piacere, come se
quell’atto fosse stato per lei un dovere, un dovere dettato dal piacere comune.
****
La sorpresa fu leggere una sua e-mail nella mia
casella di posta.
Una e-mail spedita dal suo pc a pochi metri di
distanza dal mio, quasi che all’improvviso anche lei fosse stata contagiata
dallo scrivere.
Una e-mail per scrivere lei, questa volta, il
racconto, le emozioni di un incontro, di uno dei tanti che erano seguiti alla
domenica pomeriggio a casa sua. Alessandra amava le emozioni ed imparava a
viverle. Emozioni, quelle che lei aveva sempre desiderato, fatte di sensualità,
di erotismo, di conoscenza della propria fantasia.
A volte si apre casualmente una porta e si ha paura
di guardarci dentro. Si resta lì, davanti all’uscio senza il coraggio di
varcarla, per la paura di cosa si può trovare nell’entrarvi. È capitato molte volte anche a me, forse per
coraggio, forse per evitare che tutto possa cambiare in maniera veloce, come se
ad un tratto il film della tua vita cambi il passo di velocità. Alessandra
voleva questo. Ne era consapevole, forse da sempre lei era stata così, forse da
sempre aspettava la spinta che le avesse permesso di varcare la soglia. Essere
donna e magari esserlo senza dover esibire il libretto delle istruzioni in
sette lingue, cirillico compreso



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