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domenica 26 febbraio 2012
sabato 25 febbraio 2012
Nessuno sa come ci si sente..ad essere l'uomo cattivo....ad essere l'uomo triste....Dietro gli occhi azzurri
E nessuno sa
Come ci si sente ad essere odiato
Ad essere accusato di dire solo bugie.
Ma i miei sogni non sono cosi vuoti
Come sembra essere la mia coscienza.
Ho ore, in totale solitudine
Il mio amore è una vendetta
Che non è mai libera.
Nessuno sa come ci si sente
A provare questi sentimenti
Come faccio io, e me la prendo con voi!
Nessuno si trattiene cosi tanto dal ribattere
Alla loro rabbia.
Nessuno dei miei dolori
Può trasparire.
Scoprilo
Nessuno sa come ci si sente
Ad essere maltrattato, ad essere sconfitto
Dietro gli occhi azzurri.
Nessuno sa come dire
che mi è dispiaciuto e non ti preoccupare,
non dico bugie.
lunedì 20 febbraio 2012
Da Alessandra a Fabrizio ( Dono di un amico)
Mi hai telefonato dicendo solo una frase, breve e
autoritaria:
- Domani alle tredici, ristorante "La
Pergola". Non metterti la biancheria sotto il vestito!-
Volevo replicare a quello che mi era sembrato un
ordine: non me ne hai dato il tempo, hai chiuso immediatamente.
Ti ho maledetto, ma subito ho iniziato a pensare a
quale vestito indosserò domani e a chiedermi se avrò il coraggio di non
mettermi le mutandine!
Come da istruzioni rispolvero un paio di tacchi a
spillo e un reggicalze che avevo dimenticato nel cassetto da almeno cinque
anni, mi vesto con cura lasciando in bella mostra reggiseno e mutandine sul
letto.
Mi osservo allo specchio: il tailleur nero sembra
avere un tono molto diverso, lo spacco sulla gonna arriva ben oltre il bordo
più scuro della calza. Indosso un filo di perle per incollarmi addosso un’aria
gentile e rassicurante, mi guardo allo specchio e rimarco le linee scure delle
mie labbra fino al punto del non ritorno.
Le labbra carnose sembrano oggi mi sembrano due
ciambelle: “Sarò bella per lui?” Ravvivo un ricciolo ribelle, mi fascio con le
mani i fianchi e accentuo lo spacco della gonna fino alla carne bianca,
morbida, profumata, sensuale e preda.
Di fuori silenzio, più scuro e tombale di qualsiasi
silenzio passato tra le mura protettive di casa. Mi guardo di nuovo spiando il
mio sedere che ancheggia sui tacchi impossibili e richiama gli ultimi uccelli
affamati di notte che beccano gli avanzi di cibo rimasti per strada. Freddo. Il
vento s’infila nella gonna e risale sfacciato lungo la riga delle calze, e come
spilli accarezza la pelle facendomi pentire d’aver osato oltre il lecito in un
inverno alle porte.
Entro puntualissima al ristorante, il luogo è molto
intimo e caldo. Pochi tavoli, divisi da separé di legno. Mi guardo attorno ma
ho visto subito che tu non ci sei!
Il maitre mi ha vista e mi ha detto che c'era un
tavolo prenotato e mi ha invitata a sedere.
Ti ho aspettato, anche se odio sedermi al ristorante
da sola. Ho controllato il trucco, i capelli. Non indossavo gli slip, proprio
come tu mi avevi chiesto, ed era una sensazione veramente insolita. Sotto le
cosce nude, sotto le natiche, percepivo la resistenza della paglia intrecciata
della sedia.
Dopo quindici minuti di attesa sei arrivato. Ti ho
fissato con occhi di ghiaccio, volevo fulminarti per avermi fatta aspettare.
Ti sei scusato per il ritardo, e mi hai sfiorato le
labbra con un bacio e ti sei seduto accanto a me, porgendomi un piccolo mazzo
di rose.
Hai ordinato il pranzo per entrambi ma io ho smesso
di mangiare quando la tua mano si è posata sulla mia gamba e hai iniziato ad
accarezzarla appena sopra il ginocchio, poi quasi con noncuranza è risalita
lungo la parte interna della coscia per controllare che avessi rispettato i
tuoi ordini, se fossi nuda ...
Ho camminato per te tra la gente senza reggiseno e
senza mutandine e adesso sono così eccitata che me ne sto lì seduta rigida ed
impacciata, immaginando con ansia la tua prossima mossa. In mente il sesso,
nient'altro. Voglia di fare l'amore subito ...
Mangiare insieme e in pubblico, in quello stato, si
è trasformato subito in un nuovo gioco erotico. Non so neanche cosa avessi nel
piatto: ogni boccone che mi porgi con le tue mani costituisce una tentazione
irresistibile. Ho scoperto che gamberetti ed insalata sono il più potente
afrodisiaco esistente (altro che tartufi ed ostriche!).
Poi hai preso il bicchiere del vino ne hai messo un
sorso nella tua bocca e mi hai invitato a risucchiartelo con la mia...in vita
mia nulla di più eccitante!
Ho mangiato dalle tue mani ed ho bevuto dalla tua
bocca.....Ero in estasi per questo!!!
Quando la tua mano si è intrufolata sotto la mia
gonna, in mezzo alle cosce, non ho avuto il coraggio di protestare....
Mi sono lasciata toccare il sesso umido mentre in
bocca sentivo sciogliersi il gusto indimenticabile di uno scampo grigliato che
mi avevi appena offerto.
La tua mano inizia
dolcemente a passare sopra, intorno e dentro il mio sesso rendendolo di
secondo in secondo più umido, una calda linfa inizia a fuoriuscire, sento le
punta delle tue dita scivolare sempre più dolcemente lubrificate da quel magico
olio.
Le tue dita che allargano le mie grandi labbra e le
riaccostano, le premono per millimetri che sembrano metri per poi ricominciare
fino a che prendo respiro ed aspetto di nuovo.
Poi, protetto dal separé, ti sei dato un gran da
fare e mi hai divaricato le grandi labbra, hai sfiorato le piccole, poi hai
infilato due dita con un colpo deciso cosi’ profondamente dentro di me.... così
profondamente da farmi rabbrividire.
Ad un certo punto temendo di bagnare la gonna l'ho
sollevata un pò, lasciando scoperte le calze con le giarrettiere di pizzo.
Non ho pudore. Sono accaldata e ho una gran smania
di aprirti i pantaloni per chinare la testa sul tuo membro duro e turgido e
succhiartelo fino a sentirlo schizzare fra le mie labbra.
Hai sfilato le due dita, gocciolanti e, con
esse, hai preso un gamberetto e te lo
sei messo in bocca, poi con un sorriso le hai delicatamente inserite nuovamente
nel mio ventre e nei hai estratto altro miele.
Hai preso un altro gamberetto e me lo hai offerto,
appoggiandolo alle mie labbra. Questo gioco mi eccita....
Io ho socchiuso gli occhi, aperto la bocca per
prendere il gamberetto, ma un secondo prima lo hai lasciato cadere e così ho
succhiato tutto quel dolce miele dalle tue dita. Delizioso! La mia lingua
scorreva lungo le tue dita.
Mai avevo pensato di assaggiare il mio nettare, è
dolce, sembra veramente miele, ecco perché ne sei sempre stato cosi’ avido.
Ecco perché ti piaceva leccare la mia intimità per tempi infiniti, e portavi la
mia mente e il mio corpo in paradiso.
Sono così eccitata….La tua mano che esce dolcemente
dalle mie labbra, e si rifugia nuovamente in quel caldo lago dentro me stessa.
Così ti prego
di pagare il conto e di andarcene, ma tu non hai nessuna fretta e neppure
imbarazzato dalla situazione. Tant'è che quando è venuto il cameriere con la
lista dei dessert non hai tolto la mano ancora prigioniera delle mie gambe e
hai ordinato due creme caramel con la massima tranquillità, mentre la mia
vulva, contratta da uno spasmo di apprensione, si è stretta attorno alle tue
dita.
Quando il cameriere si è allontanato ho preso la tua
mano per attirarla ancora di più contro di me e, vibrando come una corda di
violino sopra al tuo dito, ho goduto....
A questo punto ti sei alzato e mi hai presa per mano
ed hai detto “seguimi”. Mi hai accompagnata alla toilette, ti ho seguito senza
emettere un gemito, senza protestare, ma perché mi portavi nella toilette delle
donne?
Ho spalancato gli occhi ma non ti ho fermato.
Poi il tuo sesso mi è apparso davanti grosso e
lucido, vibrante di impazienza e ogni esitazione è svanita. Ho sollevato la
gonna ed ho aperto le gambe: sono talmente bagnata che sento colare lungo le
cosce il mio nettare. La tua lingua scivola, sotto il mio mento, passa sopra in
seno, succhiando con forza il capezzolo, e mi fai emettere gemiti di piacere,
passa sopra l’ombelico. E si arresta davanti a quella striscia rettangolare di
dolce peluria bagnata come la rugiada bagna i campi in autunno.
Sento inconfondibile l’umidità della tua lingua
incunearsi nel mio ventre, tra le mie cosce fino a centrare senza un attimo di
sbandamento il mio piacere per poi proseguire tra le mucose ansiose del mio
ventre ormai completamente allargato e alla mercé della tua bramosia.
È la prima volta che godo così intensamente tanto
da pregare Dio che non fosse l’ultima!
Sento la tua bocca remissiva, fedele e piena di
abnegazione continuare a baciarmi per minuti e minuti, succhiando quel liquido
di passione che sgorga copioso fino ad orlare le linee esterne delle mie
labbra.
Sento la tua lingua che cerca di incunearsi sempre
più a fondo nel mio sesso, come se volesse scoparmi, ed io che allarga le gambe
più che posso.
Le mie mani si appoggiano alla tua nuca, e spingono
il tuo viso contro il mio pube, posso sentire il tuo respiro passare tra i peli
del mio sesso. Poi l’hai fatta risalire lungo il solco bagnato, quei pochi
millimetri sufficienti ad arrivare al clitoride, ed hai iniziato a leccarlo con
maestria fino a farlo diventare duro come un pene in miniatura, e la tua lingua
che non gli da tregua, i denti che lo mordicchiano dolcemente.........io che
ansimo e godo, mordendomi le labbra per trattenere l’urlo che la mia gola vuol
liberare!
“Piano, piccolo fiore, piano, con calma, non
agitarti, non essere precipitosa” mi dici con un filo di voce, mi obblighi con
voce ferma a trattenere il fiato, a convincermi che è solo questione di
secondi, e un colpo bene assestato mi infilerà il tuo sesso nel profondo della
mia intimità, che tra meno di un niente si farà uragano, tempesta e ciclone per
interminabili minuti.
E mi prendi in piedi, all’istante, col tuo pene
voglioso che spunta rigido tra i denti della lampo e la mia gonna arrotolata
fino ai fianchi.
Un attimo dopo sei dentro di me e nello stesso
istante me lo hai spinto nelle profondità del mio ventre. Sono rimasta senza
fiato, letteralmente. Delirio di piacere e presa dall'ansia di godere
nuovamente mi sono slacciata i bottoni e ti ho offerto i seni. La camicetta è
scivolata lungo le mie spalle fino a terra. Non indosso nient'altro e in un
secondo sono rimasta in calze e giarrettiere tra le tue braccia. Poi ho
sollevato una gamba e l'ho piegata dietro ai tuoi fianchi. Voglio sentirti più
in fondo, voglio essere colmata. Tu mi hai messo la mano sotto il sedere e mi
hai sollevata con facilità. Rapida ho allacciato le caviglie dietro ai tuoi
reni e ho aperto la bocca per farmi succhiare la lingua. Senza il minimo sforzo
mi hai tenuta sollevata, impalata sul tuo uccello ardente e mi hai presa in
piedi, con forza bruta. E come se mi avessi penetrata fino al cuore!
Le tue mani che stringono le mie natiche, le dita
affondano nella mia carne e mi dondolano su e giù.
Il tuo sesso prepotente che come un pistone entra ed
esce dentro di me. Le mie tette che si stringono sul tuo torace e i capezzoli
che si strusciano con forza.
Un tuo dito che lentamente sfiora il buco del mio
culetto, e ogni volta che lo tocca, sento contrarsi i miei muscoli
involontariamente. Ansimo sentendomi sopraffare dal piacere, sono venuta
immediatamente.
Mi sollevo appena, la schiena incurvata ed il mio
volto teso, in attesa di quel dolore così dolce e perverso, pronto a riempirmi
fin dentro le viscere e a logorare ogni muscolo fino a farmi gridare, fino a
farti grugnire.
Subito dopo ho sentito che anche tu ti eri svuotato
dentro di me in un lungo, travolgente, orgasmo!!!!!!
Asciugo il tuo sperma che mi cola tra le cosce. Poi
mi inginocchio davanti a te, come quasi in adorazione a quel sesso ancora duro
che mi ha dato tanto piacere, e inizio a succhiarlo, a leccartelo e con le mani
ti accarezzo dolcemente i testicoli.
Ti sento godere di nuovo, mentre le tue mani
accarezzandomi le orecchie mi danno il ritmo di quel bacio voglioso. Ci siamo ricomposti, siamo usciti dal bagno.
Ci siamo seduti al nostro tavolo e ti ho guardato:
non riesco a credere che sia tutto vero!!!!!!
Ti appoggio la mano sui pantaloni e sento che il tuo
sesso pulsa ancora duro e vivo là sotto. Guardandoti negli occhi ti ho detto:
“Adesso si va a casa mia, e si scopa a modo mio……….ti succhierò anche
l’anima………questa volta non ne esci vivo……”
Il Collare....(Dono di un amico)
IL COLLARE
- Vieni a prendere un caffè, domenica? Dimmi di sì.-
Il messaggio al cellulare da parte di Alessandra mi
aveva sorpreso. Un invito che seguiva il nostro primo incontro, la conoscenza
cercata e voluta da entrambi ed ormai troppo rinviata da parte mia.
Alessandra, 29 anni, fisico snello e provocante con
due seni che sembrano gridare in ogni momento il piacere. Una bella donna,
senza dubbio, con una sorta di mistero, di inappagatezza che chiedeva di essere
approfondito, scoperto. Capelli neri che scendono sulle spalle, appena mossi e
ribelli e che profumavano di frutta. Inconfondibile aroma che era rimasto
agganciato al ricordo del primo incontro, quando avevo sfiorato il suo viso per
un bacio di saluto.
Alessandra gestisce un negozio di articoli per
animali: una sorta di farmacia veterinaria nell’immediata periferia della mia
città, sulla strada fra il mio ufficio e casa. Vi ero entrato per un motivo
preciso, alla ricerca di un oggetto destinato a tutt’altro pensiero. Un regalo
che volevo fare per una persona speciale: un collare di cuoio.
Fu lei stessa a servirmi e ad aiutarmi nella scelta.
Era incuriosita e forse aveva capito che qualcosa di strano c’era. Credo che
generalmente nasca una sorta di confidenza tra venditore ed acquirente: si
chiedono consigli, suggerimenti, si parla immancabilmente dell’animale, se ne
tessono elogi. Ogni padrone con la sua bestia è così, lo so per esperienza.
Tutti pronti a dire, che bello, che splendido, fa questo, fa quello. Del mio
cane… a me non interessava nulla. La mia attenzione era più che altro rivolta
al collare, al materiale, alla foggia, alla bellezza.
- È di taglia grande?- chiedeva lei, ed io in una
sorta di imbarazzo indugiavo nella risposta, quasi a voler evitare qualsiasi
spiegazione.
Mi sembrava un po’ difficile ammettere che il
collare fosse destinato ad una donna, per completare quelle fantasie che io e
lei coltivavamo insieme. Il collare era per Eva, quella splendida creatura che
faceva bollire il mio sangue, che metteva erotismo nei miei pensieri, che si
donava al mio piacere in maniera impeccabile.
- Sì, mi sembra una buona scelta!- sottolineò
Alessandra riponendo l’oggetto in una piccola scatola di cartone bianco.
- Credo che il suo cane resterà contento.- Aggiunse
come per dire, guarda che sono curiosa e non hai ancora detto nulla.
- È una cagna!- Dissi con la massima indifferenza,
quasi infastidito dalle domande.
Tirai fuori il portafoglio mentre batteva il prezzo
sulla cassa. Lei come se nulla fosse continuava a parlare, normalmente, come
credo faccia sempre con i clienti.
- Ma che razza è?- Chiese mentre mi dava il resto.
- Un lupo?-
ipotizzò sorridendomi.
- No, un bipede!- Risposi guardandola negli occhi.
La fissai in un modo particolare, stranissimo. Credo
di non aver mai guardato in vita mia una
donna con quella intensità fulminea. Uno sguardo che voleva raccontare la
storia di Eva, che nascondeva una storia di piacere. Avvertii un brivido
attraversare i suoi occhi, come se fosse rimasta immobilizzata dalle mie
parole.
Non una parola in più, non una domanda. Come se
avesse capito che nulla di più avrebbe potuto chiedere senza sapere una verità
che non si poteva raccontare.
Ci eravamo rivisti quasi un mese dopo quella volta
per acquistare qualcosa destinato davvero ad un animale. Lei timidamente chiese
se il collare era piaciuto.
- Non è stato ancora consegnato! Ma credo di sì;
almeno dalla reazione al telefono, penso di sì.-
Una risposta che nascondeva un discorso ben preciso,
una situazione che oramai era evidentemente non collegabile ad un animale.
- È una storia lunga- dissi fissandola con la stessa
intensità della prima volta - che non tutti vorrebbero ascoltare. E forse non
so nemmeno se vale la pena raccontare…-
- A me piacerebbe ascoltarla- rispose lei in un
fiotto di parole, quasi spezzando la mia frase. Lo aveva detto di colpo, come
se fosse il suo desiderio più vivo e cercato.
- Se vuoi…. Possiamo vederci per un caffè- ammisi
quasi dando un senso di fastidio alle parole.
La curiosità di Alessandra era lampante. Ci siamo risentiti
dopo un paio di settimane. Non sapevo nemmeno il suo nome e tantomeno lei
conosceva il mio.
- Avrei da raccontare una lunga storia…- le dissi
quando rispose alla cornetta. Lei per un momento restò interdetta come per
rifare il calcolo mnemonico di chi fosse quella voce.
- Ah, sei tu? Quello del “bipede”. Scusa, ma non so
nemmeno il tuo nome.- protestò lei.
- Ti va di prendere un caffè insieme?- fu la mia
conseguente domanda, buttata là come se non mi interessasse minimamente
acconsentire alla sue richieste.
La pausa per il pranzo fu l’occasione appena un paio
di giorni dopo. Mi aspettava davanti al suo negozio. Salì in macchina quasi
correndo.
L’auto saliva piano su per i tornanti della collina.
Non un caffè, ma un pranzo insieme, visto che tutti e due avevamo tempo.
Le parole sembravano naturali tra di noi. La sua
vita, il lavoro, le cose quotidiane, le conoscenze, i rapporti con gli altri.
Lei raccontava la sua storia a tratti: una sorta di convivenza finita da poco e
durata un anno e mezzo. Sembrava il grande amore. No, non lo era. Se ne era
accorta subito che lui non poteva essere l’amore che ti prende il cuore, magari
che te lo infiamma, te lo fa a pezzi, ma che comunque sappia di passione.
Alessandra non era una ragazza banale. Amava il teatro, il cinema, l’arte.
Preferiva leggere più che uscire per pub o discoteche. Viversi l’uomo che le
stava accanto. Lui invece era per la trasgressione serale.
Trasgressione. Se si vuole considerare tale girare
per locali con gli amici e parlare per ore delle solite stronzate. Non erano
fatti l’uno per l’altra ed anche i primi tempi la passione non aveva fatto
breccia nelle loro menti. E pensare che lui era ben più grande di lei e più
maturo, almeno stando all’anagrafe, ma era perennemente preda di quell’animo
fanciullesco che per alibi confondiamo con l’essere un poco Peter Pan. La
partita la domenica allo stadio o in tv al bar con gli amici, la settimana
bianca, le vacanze nei mari tropicali. Cose interessantissime ma sempre
accompagnate da quella mancanza di un qualcosa che le avrebbe rese
indimenticabili per entrambi.
Alessandra cercava.
Cercava dentro di sè, ma non sapeva nemmeno lei
cosa. Insoddisfazione di sè stessa, insoddisfazione di come viveva il sesso, di
come lo proponevano. Fantasie che aleggiavano dentro di lei e che era più
conveniente tenere segrete. Non indagai su quale tipo di fantasie. Mi piace
scoprire le persone un pò alla volta, spogliarle della loro stessa pelle, come
per svolgere il filo di una matassa intricata. La storia era finita di recente,
chiusa come si conviene: da buoni amici. Un giorno per conoscersi ed un anno
per aspettare il momento opportuno per chiudere il rapporto. Sì, capita spesso
che sia così, lasciandosi trascinare, convinti che poi qualcosa cambi, che
all’improvviso arrivi la vampata che incendia tutto e che ti permette di vedere
l’altro con occhi diversi. Amore e passione: questo cerchiamo noi tutti. Spesso
troviamo l’amore, spesso la sola passione. Ma il primo non può esistere senza
la seconda. È fondamentale l’aspetto. Puoi vivere la passione, anche la più
sconvolgente e farlo senza amore, senza il coinvolgimento del sentimento. Così
gira il mondo e così giriamo noi tutti alla perenne ricerca di quel qualcosa
che unisca amore e passione.
Poi la sua domanda. La curiosità inappagata che
sembrava bruciarle dentro. Un fuoco lento ma inesorabile.
- Lo hai poi consegnato il collare? Cosa ha detto?-
tutto di un fiato come se fosse un’unica domanda.
- No. Non ancora. Eva è lontana, non solo di spazio,
e non stiamo attraversando un buon periodo. Diciamo che tutto è fermo, una
sorta di quiescenza ascetica.-
Le raccontai per sommi capi la storia con Eva, come
era nata, come era cresciuta. Nessun particolare da rimarcare, solo puntando
sulla passione, sul significato che la passione aveva per noi. Nessun racconto
dell’intimità, ma solo la storia.
Lei seguiva con lo sguardo attento. Sentivo i suoi
occhi che cercavano i miei, ma quando volutamente ero io a fissarla la sentivo
in difficoltà e l’abbassare piano lo sguardo sembrava una cosa naturale.
- Come siete arrivati al collare?- chiese lei
interrompendomi.
- Era una nostra fantasia. Si scava nelle fantasie,
si scuotono per sentirne la forza e poi ti accorgi che emergono dirompenti con
tutto il loro erotismo. Amo vivere le fantasie, sentirle, provocarle,
suscitarle. Sono come teneri germogli che vengono innestati per vederli
crescere. Ed è bello sentire l’altro che può dirti… sì. Ci sono diversi modi
per chiedere e per domandare. La passione e la sensualità ne richiede uno particolare.
La complicità. Essere consapevoli di questo, della complicità che può costruire
tra due persone e non certo distruggere. In quei momenti di complicità si può
dire tutto, anche no. Nulla sarebbe irrecuperabile, niente sarebbe fastidioso e
invadente. Essere complici non è un punto di arrivo, è un punto di partenza,
fondamentale. La complicità ti porta a pensare che è la libertà che ti
incatena, non la negazione, il divieto, il proibire, anche solo in ragione
dell’amore.-
Nulla di più fu chiesto a quel primo incontro, come
se fosse tacito l’accordo tra noi di rivederci, di approfondire temi ed
argomenti che si erano evitati per forza.
Appena il giorno dopo, il suo messaggio sul display
del telefonino. La chiamai per chiedere se andava bene vederci subito dopo il
pranzo.
****
Alessandra viveva in quell’appartamento che il padre
le aveva comperato in centro. Era stato il nido d’amore di quella precedente
convivenza ammezzata che mi aveva raccontato.
Questa volta notai con maggiore attenzione i dettagli
di quella donna. La bocca carnosa, il
sorriso che sembrava sempre nascondere la timidezza, il corpo di donna ben
modellato. Il nero le donava, esaltava la sua carnagione bianca, gli occhi
verde chiaro che staccavano ed impreziosivano quel volto ovale, ben disegnato.
Gli stivali la facevano appena più alta di come io l’avevo conosciuta. I
capelli erano raccolti indietro lasciando scoperto il suo collo, slanciato e
ben modellato. Due orecchini a cerchio esaltavano ancora di più quella figura.
Ci sedemmo nel salotto per gustare il caffè. L’uno di fronte all’altra, quasi a volersi
scoprire di nuovo e questa volta con maggiore spudoratezza, complice la
solitudine di quella casa.
- Ho una cosa da dirti!- annunciò senza disagio.
- Ricordi il giorno che tu sei venuto a comperare il
collare? Sono rimasta colpita. Certo, la reazione naturale sarebbe dovuta
essere: “ma senti che razza di bastardo, che viscido”. Invece ho sentito
qualcosa dentro di me, una scossa che forse avvisava che qualcosa si stava
muovendo.-
Prese l’ultima sorsata di caffè e si accese una
sigaretta. Ne offrì una anche a me. La guardavo in silenzio, senza
interromperla nelle parole e nei gesti.
- Ho preso anche io, per me, il collare che tu avevi
acquistato.-
Sentii i suoi occhi che ora scavavano i miei. Erano
dentro di me, come per chiedere il mio pensiero, per conoscere la mia reazione, per cavarmi di
bocca le parole che lei voleva ascoltare.
- Non ci credi, vero? Ti sembra strano che io lo
abbia fatto?- la sua curiosità aumentava con le domande, come per cercare
risposte che si dovevano adattare al suo volere.
- No, sbagli. Non mi sembra strano che tu lo abbia
fatto….- Risposi soffiando il fumo dell’ennesima boccata di sigaretta.
- Vieni…- disse lei alzandosi di scatto.
Mi porse la sua mano, come per essere lei a volermi
portare. Mi condusse in camera da letto. Armeggiò nell’armadio e ne cavò fuori
una piccola scatola bianca, simile a quella che aveva lei stessa usato per il
collare di Eva.
- Vedi? L’ho preso identico a quello che tu avevi
scelto per lei-. Disse senza vergogna aprendo la piccola scatola.
In quel momento la sentivo forte nelle parole, ma
fragile nel suo stato di animo. La sentivo tremare appena, scossa da una sorta
di eccitazione e paura. Come chi sta per buttarsi e non vuole, come chi sta per
spiccare il volo ed ha paura di spiaccicarsi in terra.
Tante le domande che avrei potuto porle,
incalzandola, fino a svuotarla. come lei stava desiderando.
Non una parola, non una frase, solo lo sguardo mio
su di lei che sembrava spogliarla di tutto, che la osservava nei pensieri,
nelle emozioni.
La mia mano le sfiorò il viso, piano. Una carezza
leggera che sentiva il calore del suo viso per poi tornare indietro con il
dorso della mia mano per sentire i piccoli tremiti della pelle. Accarezzavo
piano il collo per sentirlo come se mi appartenesse, per saggiarne la
consistenza, la sensualità, come per chiedere a se stessa, alle mie mani, se
fosse pronto per indossare quel collare che teneva tra le dita.
- Lo hai già indossato il tuo collare? Hai provato a
sentire il piacere di farlo?- La voce era volutamente sensuale, calma ma
decisa.
Ora il suo tremolio era più evidente, più marcato.
Avvertivo distintamente la sua eccitazione, ma anche la paura, il timore di
confessarsi a me.
- Sì, l’ho fatto.- E chiuse gli occhi,
abbandonandosi a quella carezza che non aveva fine.
- Ho tenuto quel collare tre giorni chiuso
nell’armadio. Ho pensato più volte di indossarlo, di sapere che effetto faceva
sentirselo addosso. Era una tentazione. E più mi tentava e più dicevo a me
stessa di no. Scacciavo il pensiero, me ne allontanavo. Lo rifiutavo come per
testimoniare che non era un mio desiderio, che ero semplicemente pazza. Ma la
tentazione si ripresentava puntuale e più forte di prima. Avevo paura a chiedermi
se era quello che desideravo, se era una fantasia che non volevo ammettere a me
stessa. Mi chiedevo perché sentivo questo bisogno, perché lo cercavo, perché mi
era bastato il tuo sguardo per farmi essere così pazza.-
Anche lei ora parlava calma. Un tono quasi languido,
sommesso, a tratti estasiato. Sentivo che il suo viso ora cercava la mia mano,
ci si sfregava lentamente contro, cercando un contatto più intimo, più
sensuale. Cercava il calore della mia mano, voleva sentire le emozioni passare
attraverso la pelle, costruirle insieme, come in un rapporto continuo di dare
ed avere.
La feci sedere sul letto senza voler staccare la mia
mano dal suo viso, quasi a condurla attraverso quella carezza. Le mie labbra si
posarono piano su quel viso per baciarlo, per sentire il contatto che cambiava
e che si faceva più sensuale. Piccoli baci appena appoggiati sulla pelle per
tentare ogni centimetro, per respirare la fragranza del sapore dolciastro che
il suo corpo emana. Poi le sue labbra, la sua bocca. Sentire i piccoli
sussulti, il suo desiderio di abbandonarsi, di volersi concedere a quella
passione che improvvisa stava scoprendo. In piedi davanti a lei, piegato sulla
sua bocca come per succhiarne il piacere, come per posarlo senza fretta. Le mie
mani che stringevano piano il suo viso, leggermente reclinato in dietro in una
posizione che era fatta per la devozione per essere già pronta a donarsi.
- E cosa hai provato quando hai sentito il collare,
quando hai sentito il suo odore, quando lo hai allacciato?- le chiesi
staccandomi piano dalle sue labbra, solo per permettere alla mia voce di avere
suono.
- È questo ciò che tu desideri? E’ questo il piacere
che era nascosto dentro di te, che non volevi riconoscere, far emergere per il timore di non essere in grado di controllare?-
Proseguivo senza aspettare le sue parole come se
fosse un tacito accordo: sarò io a parlare, tu devi solo ascoltare.
-Sarò io, ora a posarlo sul tuo collo, a sentire
l’emozione, il piacere che hai immaginato e voluto dentro la tua fantasia-.
I baci si facevano più audaci intramezzati dalle
parole. La sensualità cresceva diventando eccitazione vera. Iniziai a
spogliarla piano, facendo gustare ad entrambi quel piacere di prendersi e
donarsi. Il corpo di Alessandra era davvero bello. La nudità del busto rendeva
gloria a quei seni deliziosi, sodi, robusti, vigorosi. Capezzoli bruni che
sembravano essere fatti per suggerne piacere, per essere baciati senza sosta.
Capezzoli grandi e prepotenti che sembravano ergersi da quei seni come
sentinelle del piacere. Mi piegai di più
per poterle baciare il seno, fino ad inginocchiarmi davanti a lei. Le sue mani
erano appoggiate sul letto, le braccia abbandonate all’indietro seguendo la
testa e la piccola coda che raccoglieva i suoi capelli. Gli occhi socchiusi
come per assaporare il piacere più recesso, i capezzoli tra le labbra, il
sapore della sua pelle, la sua carne offerta come pietanza succulenta. La mia
lingua scorreva avida su tanta dolcezza con movimenti ora rapidi ora
improvvisamente rallentati, succhiando di lei tutto il piacere. Le mie mani le
stringevano i fianchi, ed accarezzavano
piano il velluto della sua epidermide fremente. Fu lei rapida a completare la
svestizione slacciando quasi in modo rabbioso la grande cintura d’ornamento ed
i pantaloni, lasciandoli cadere in terra, in mezzo alle mie gambe. L’aiutai
solo a togliersi gli stivali, sfilandoli lentamente come atto di profondo
erotismo, come per suggellare la sua nudità. Aveva un piercing all’ombelico. Un
piccolo anello d’oro giallo con incastonato un brillante che sembrava splendere
di luce propria. Sull’inguine una farfalla tatuata con le ali dispiegate,
simbolo di una libertà desiderata e che forse mai era stata raggiunta.
Ora le sue braccia cingevano il mio collo, le sue
mani passavano lente sulla mia schiena. Mi alzai e presi il collare che aveva
posato accanto a sé.
- Vuoi che sia io a posarlo su di te? Lo vuoi
Alessandra? Conosci il significato di questo gesto?-
- Sì, lo voglio…. È la cosa che desidero di più.-
rispose lei aprendo gli occhi e fissandomi con un'intensità marcata,
trasmettendo tutto il desiderio che sentiva dentro.
Il collare sfiorava la sua pelle, il suo viso, come
per inebriarla con il profumo di cuoio, per misurare gli attimi che precedevano
quell’essenza di appartenenza.
Movimenti lentissimi, quasi da bradipo, studiati,
come se lei fosse preda in una savana e che non avesse oramai più scampo con il
suo carnefice gioca con il terrore, sicuro oramai di trasformarla nel suo
pasto.
Adagiai il collare sulla sua pelle accompagnando
quel gesto con lo sguardo, senza mai staccare gli occhi dai suoi. Lei piegò la
testa, abbassando gli occhi, per facilitare la vestizione, godendo di quel
gesto che aveva sognato e che aveva scoperto così forte, incalzante nella sua
fantasia.
Il collare era perfetto, splendido su quel corpo
nudo e candido. Prezioso ornamento per una donna che aveva scelto
all’improvviso di sentirsi cagna, di appartenere, di essere creta nella mani di
uno scultore, abbandonata ad un destino che la renderà opera d’arte.
La feci alzare tenendola per mano. La avvicinai allo
specchio grande che spezzava le ante dell’armadio.
- Guardati Alessandra. Guarda come è splendido il
tuo corpo, ora.-
Lei era immobile davanti allo specchio, il suo corpo
in primo piano che faceva da quinta alla
mia presenza, come attore che aspetta di entrare sul palcoscenico.
Iniziai a carezzarle i seni abbracciandola e
lasciandola specchiarsi nella sua nudità, in quel segno di appartenenza che lei
stava adorando. I suoi capezzoli stretti piano, risucchiati lentamente,
crescevano turgidi come il piacere. La mia bocca baciava il suo collo appena scoperto dal
collare e indugiava sulle sue spalle. La sua testa ora si piegava languidamente
all’indietro piano, esaltando la forza
del suo petto, e rapiva il piacere che le mie mani le procurava e che le mie
dita stimolavano.
Mani che scendevano lentamente, accarezzandole senza
sosta il ventre, l’ombelico, giocando con il suo piercing e ancora più giù.
Mani che sapevano ascoltare il suo godimento, che si muovevano leggere, appena
sfiorando la pelle, ma al tempo stesso forti, che sapevano far fremere la
donna. Il suo sesso era bagnato, le mie dita lo scoprirono così, docile e
pronto al piacere, aprendolo, divaricando piano le sue labbra per assaporare il
clitoride che sembra essere piantato li per l’adorazione che merita e che
richiede.
Piccoli tocchi che sembravano rubarlo il piacere,
carezze delle dita che sembravano volerlo travasare il piacere, crearne di
nuovo.
Lei si girò piano. Il desiderio che vedevo riflesso
nello specchio, ora potevo gustarlo direttamente nei suoi occhi.
I suoi gesti erano lenti come i miei nello
spogliarmi, nel sentire il profumo della pelle che si sprigionava dalla
camicia. Improvvisamente, io stavo diventando la sua preda, il suo pasto.
Nudi, l’uno di fronte all’altra. Pelle che sfiorava
la pelle, brividi di piacere che si intrecciavano, emozioni che incorniciavano
l’attimo, il momento, corpi che sembravano liberare il desiderio di possedersi,
di gustarsi. Bocche che respiravano il piacere dell’altro, respiri che si
donavano alla sensualità, erotismo amplificato dal semplice gesto, dallo
sfiorarsi. Musica dei nostri corpi che aumentasse lentamente di volume, fino a
diventare sinfonia di rara bellezza.
Le mani si rincorrevano, cercavano, frugavano,
toccavano il piacere, lo provocavano, lo volevano. Il suo sesso si allargava al
mio piacere, al desiderio di conquistarlo. I nostri corpi liberi fluttuavano nella stanza, pallide farfalle
che si incrociavano in una infinita danza d’amore.
Alessandra godeva di quel piacere, delle mie
carezze, del mio giocare con il suo seno, fin quasi a torturarlo, con il suo
sesso, che spalmavo sulla mia bocca, che cercavo con la lingua e lo provocavo
fino a sentire l’orgasmo ripetuto. Tutto in modo così naturale senza il minimo sforzo. Avvertivo il corpo
irrigidirsi di colpo, come se fosse schizzato in una dimensione diversa, dove
solo il piacere governa quel mondo, per poi sentirlo ripiombare nella sua
pesantezza terrestre, pronto per un nuovo viaggio attraverso la sublimazione
del piacere.
****
- Stai bene? –chiese Alessandra non appena la sua
voce fu tornata alla normalità, dopo il godimento che le aveva
attraversato corpo e mente.
- Sì, sto bene- risposi lentamente.
- Spero che non ti abbia deluso. Che sia riuscita a
farti sentire il piacere come tu lo stavi dando a me-. Replicò lei contraendo i
muscoli del suo sesso, per sentirmi ancora dentro di sé.
- Come posso esserlo? Ho conosciuto la tua intimità,
quella di una donna capace di regalare ad un uomo la sua mente, la sua
sensualità, la sua femminilità.-
-Tu, me la stai rubando l’anima.- la sentii
sussurrare.
- Vorrei sorseggiare la tua anima, succhiare la tua
mente piano, come se fosse nettare, sfamarmi della tua fantasia, trasformarla,
aumentarla, dilatarla, così come vorrei farlo con il tuo corpo. Un piacere che
non conosca fine, che sia irrinunciabile, che resti il primo pensiero appena
svegli e che sia l’ultimo prima di chiudere gli occhi, accompagnandoti nel
sogno, immaginando la figura di quell’uomo capace di farti sentire donna come
tu chiedi, come tu hai sempre desiderato. Voglio sentire le tue reazioni, non
solo immaginarle appena uscito da questo letto, ma leggerle, leggere la tua
eccitazione, la follia che ti porta a perderti dietro alle mie parole, alle mie
emozioni. Ma ci sarà tempo e non mancherò di farlo, lo sai benissimo.-
- È stato come l’ho immaginato, come l’ho sognato
quella sera che ho voluto indossare il collare.-
- Mi piace sapere che mi riconosci come una cagna fa
con il suo padrone, dall’odore e dal sapore della sua pelle, mi piace sapere
che vuoi affidare la tua anima a me, che desideri che sia io a svuotarla di ciò
che fino ad oggi la rendeva forte e riempirla di nuove fantasie ed emozioni.
Spero solo che non ti fermerai a questo, al primo incontro che vi è stato oggi.
- No, non mi fermerò. Pazza sì, ma non fino a questo punto.!- Rispose
Alessandra sussurrandolo con una naturale ironia che sapeva di nuovo erotismo.
- Vorrei sapere che il tuo desiderio vissuto
attraverso di me è grande. Sapere che tu possa dire: “la mia anima da oggi ti
appartiene: fai di lei ciò che più ritieni sia giusto”. Sapere che vorresti
chiedere e non hai la forza per farlo, se non al mio comando, al mio volere.
- Perché non mi hai dato ancora il tuo piacere.
Perché non hai voluto godere dentro di me
come ti ho chiesto? Non ti piaccio? Non riesco a
darti il piacere che tu desideri?-
Non rispondevo alle sue parole, all’incalzare di
quelle domande uscite dalla sua bocca con la forza dell’insicurezza. Non era la
mancanza del piacere. No. Era il desiderio di stordirla di me, travolgerla con
la sua stessa passione. Per il mio piacere ci sarebbe stato tempo. Il mio
piacere sarebbe giunto quando il suo fosse stato appagato.
- Sapere che hai desiderato le mie parole, che le
hai cercate, come un animale che fiuta l’aria, la sua preda, la sente, la
insegue, la bracca con l’unico obiettivo di farla sua, impossessarsi del suo
corpo, soddisfare la propria fame, fino a che diventi ingordigia, attraverso la
carne di quella preda così a lungo desiderata mi è stato, per oggi,
sufficiente.-
Continuavo a raccontare di lei e delle sue emozioni,
senza sfiorare le mie, come per tentarla ad essere così spudorata da essere lei
stessa a volere, a cercare il mio piacere.
Alessandra mi guardava, fissandomi, catturando le
mie parole. Ogni sguardo sembrava una risposta, tanto erano penetranti le mie
emozioni.
- Non chiedo se lo hai fatto, sarebbe banale
chiedertelo. Tu imparerai a sentire attraverso la mia pelle, scegliendo il gioco
più sottile e forse più crudele: il vivere la fantasia. Non esiste forza che
possa paragonarsi alla parola, a quanto possa essere sconvolgente, a quanto
possa fare per la mente degli altri. La forza della parola intesa come mezzo
per trasportare le emozioni e la mente.-
- Tu oggi…. tu hai scopato il mio cervello. Non solo
il mio corpo. Sono piena di te e vuota di me stessa, vuota di ogni pensiero che
non possa essere il tuo.-
- La parola innesta nella mente cunei che sanno
andare profondi, che scoprono i nervi e li lasciano lì al sole a vibrare,
godendo di quella sofferenza e di quel piacere che sanno provocare. Ti chiedi
se saprò fare tutto ciò? O sai già la risposta? So benissimo che vuoi vivere
come meglio credi la tua passione, senza nessuna paura: fidati di me, affida la
tua anima e la tua mente a me e lascia che sia io a guidarti a trasportarti nel
cuore della fantasia a trasformare i tuoi pensieri e renderli simili per il
nostro unico piacere. Sai benissimo quello che puoi vivere con me e sai che
sarà unico e difficilmente cancellabile dalla tua mente.-
- Sai già la risposta, non sarei qui, ora, così tra
le tue braccia, incapace di staccarmi da te. Sono felice che tutto questo sia
accaduto e so che tra poco dovrò maledire il momento stesso che è accaduto.
Sarà difficile lasciarti andare e pensare che non possa averti, come io
vorrei.- Alessandra aveva sospirato quelle parole con un atto di sofferenza,
come chi è attraversato dalla luce e sa che quel lampo a breve si spegnerà.
- Voglio che il mio nome non sia scritto nella tua
mente da semplice inchiostro. Voglio che sia scritto con il fuoco della
passione, quella che ora conosci, quella che sta bruciando dentro di te.-
Alessandra non rispose. Lo fece la sua bocca. La sua
lingua si infilò dentro la mia bocca, alla ricerca di un piacere che non
conosceva limite. Ora era lei che voleva il mio piacere. Non osava chiederlo
con le parole, ma lo faceva con la sensualità, con la sua femminilità che era
uscita fuori così all’improvviso.
E lo fece, bevendo il mio piacere, come se
quell’atto fosse stato per lei un dovere, un dovere dettato dal piacere comune.
****
La sorpresa fu leggere una sua e-mail nella mia
casella di posta.
Una e-mail spedita dal suo pc a pochi metri di
distanza dal mio, quasi che all’improvviso anche lei fosse stata contagiata
dallo scrivere.
Una e-mail per scrivere lei, questa volta, il
racconto, le emozioni di un incontro, di uno dei tanti che erano seguiti alla
domenica pomeriggio a casa sua. Alessandra amava le emozioni ed imparava a
viverle. Emozioni, quelle che lei aveva sempre desiderato, fatte di sensualità,
di erotismo, di conoscenza della propria fantasia.
A volte si apre casualmente una porta e si ha paura
di guardarci dentro. Si resta lì, davanti all’uscio senza il coraggio di
varcarla, per la paura di cosa si può trovare nell’entrarvi. È capitato molte volte anche a me, forse per
coraggio, forse per evitare che tutto possa cambiare in maniera veloce, come se
ad un tratto il film della tua vita cambi il passo di velocità. Alessandra
voleva questo. Ne era consapevole, forse da sempre lei era stata così, forse da
sempre aspettava la spinta che le avesse permesso di varcare la soglia. Essere
donna e magari esserlo senza dover esibire il libretto delle istruzioni in
sette lingue, cirillico compreso
Moon...Miss Culo (Dono di un mio amico)
Bello guardarla sorridere in
quella foto, sul suo profilo, e poi scoprire pian piano altre immagini di lei,
a volte scherzosa, altre volte sfrontata… Questo gli piaceva di lei, che era
sfrontata…e giocosa… Lo capi subito leggendo i commenti che gli lasciava nel
suo profilo, commenti a volte sfacciati, a volte maliziosi…
Così, dopo un po’ di tempo decisero di provare a vedere se la
provocazione e la sfrontatezza poteva essere sperimentata “sul campo”…
Fu così che lui le propose di vedersi a casa sua, dopo essere
stati in un locale, nel quale l’effetto dei drink e la musica incalzante
avevano prodotto la caduta di tutti i freni inibitori in lei. Ma anche in lui!
Non le aveva staccato gli occhi di dosso, perché lei era tanta….da guardare…e
se l’era già scopata con gli occhi, al punto che gli bruciavano!
Il locale era vicinissimo a casa sua. Non ci stava spesso, in
quell’appartamento, ma era comodo quando stava in città, quando voleva
incontrare qualche donna, quando aveva voglia di scopare. Una a notte, un paio,
tre. A volte si ripetevano, questo si. Le migliori, quelle che lo avevano fatto
godere di più. Non sempre la seconda volta era tanto soddisfacente quanto la
prima. ma c’erano le eccezioni, e ritrovarsi in quell’appartamento con una
donna con la quale aveva già scopato altre volte era molto piacevole, e gli
permetteva di sperimentare nuovi giochi erotici, nuove perversioni in cui
sentire davvero la lussuria scorrere senza più controllo.
Arrivati davanti all’ascensore cambiò idea.
‘Andiamo a piedi’, disse.
‘A che piano stai?’
‘Il quarto’
‘E si va senza ascensore?’ Certo, e tu sali davanti a me. Mi vorrei godere un po’ di panorama prima di arrivare al sodo, Miss Culo.
‘Perché, non ti va di fare un po’ di moto?’
Rise ancora. ‘E va bene. Ma coi tacchi non è il massimo’.
Si avviarono verso la rampa.
‘Vai avanti tu… prima le donne’. Gran bella regola.
Lei si incamminò. Tacchi alti e minigonna larga. Uno scrigno a portata di occhi. Vedo non vedo, ad ogni passo. La scopata si preannunciava divertente. L’idea di fottersela si faceva sempre più invitante. Vai avanti così, Miss Culo. Ridi ad ogni passo, sculetta come sai fare, fammi intravedere quel culo da favola che ti ha fornito il lasciapassare per salire da me.
Arrivati in cima lei aveva il fiatone. Ma sorrideva, sempre. Una ragazza felice, che sollievo. Una da scoparsi in pace, come in un gioco. L’atteggiamento di lei lo divertiva.
Aprì la porta, lui la fece entrare.
‘E’ carino qui’. Arredamento sobrio, da residence. Nessun tocco personale. Zona neutra.
‘Grazie. Non l’ho arredato io. Altrimenti sarebbe orribile.’
La porta si chiuse.
‘Allora’ disse lui, avvicinandosi a lei.
‘Allora… quei drink? Siamo saliti per questo, no?’
Lui sorrise. ‘Certo’ Eccola che voleva fare l’indifferente. Faceva finta di non essere salita su da lui per farsi scopare. Forse le era piaciuto il gioco di prima. Palpeggiamento più chiacchierata indifferente. Bene, andiamo avanti. Presto il gioco si sarebbe fatto scoperto, e lei lo sapeva bene. Forse era nervosa, non lo sembrava.
Le si avvicinò, erano ancora vicini alla porta. Lei rimase impassibile, guardandolo negli occhi.
‘Non so ancora il tuo nome’ disse
‘Moon’ disse lei. ‘Chiamami Moon’
‘Un bel nome. Mi piacciono le donne come te’
‘E come sono le donne come me?’ il suo sorriso era accattivante. Sembrava sempre divertirsi un mondo.
‘Sono donne consapevoli di essere belle ed esperte, consapevoli di dimostrare che sanno essere molto meglio delle ragazzine. E non hanno vergogna di mostrarlo’.
‘Oh.’ Di nuovo lui le era vicinissimo. Questa volta il gioco si sarebbe fatto ancora più interessante. Decise di fare una mossa ancora più azzardata. Un’altra prova del suo potere. Posso farti quello che voglio, vedi? Roba che non ti lasceresti mai fare da un altro.
‘Si, la sicurezza in se stessi è fondamentale’. Ora la spoglio, pensò. Così, senza preavviso. Un pensiero eccitante.
‘Hai ragione… l’insicurezza piace poco anche a me’ disse lei. Mentre lui stava già mettendo in moto il suo piano. Evviva le camicette che si sbottonano da davanti. Chiunque le abbia inventate è un genio. Ci si risparmia la scomodità di fare alzare le braccia alla donna che si sta spogliando. Mise le mani al primo bottone, in alto.
‘Non piace a nessuno, credo. E tu mi sei piaciuta da subito, sai?’ primo bottone slacciato. La sto spogliando e lei non fa una piega.
‘Davvero? ….’ Secondo bottone, sempre più in giù.
‘Certo. Te l’ho detto prima, balli da favola’. Terzo bottone. Ne mancava solo uno e lei sarebbe stata in reggiseno.
‘E tu mi guardavi ballare?’ quarto bottone, ultimo. Lei fremette. Camicetta scoperta.
‘Ti guardavo ballare. Molto intrigante.’ Ora via la camicetta. Guardandola fissa negli occhi, le spinse indietro prima una manica, poi l’altra. Il balconcino di pizzo bianco sorreggeva due tette sorprendenti. Ora cominciava ad eccitarsi per davvero.
‘Intrigante… beh….’ Moon, o meglio, Miss Culo, cominciava di nuovo a cedere. La verve sorridente si scioglieva in un’eccitazione crescente. Si morse di nuovo un labbro.
‘Molto intrigante’ ecco un bel momento, un momento da inquadrare in primo piano. Il momento in cui lui metteva entrambe le mani sulle tette. Tendendole a coppa. Un’altra dimostrazione di potere, assolutamente inebriante.
‘E cosa… pensavi….’ Ora le mani passavano a faccende serie. Erano passate da fuori a dentro. Cercavano, infilate dentro il reggiseno, i capezzoli, per tirarli fuori, per guardarseli. Eccoli tra le dita, e lei continuava a parlare
‘di fare… mentre…’ Ora lui li tirava fuori, li prendeva tra pollice e indice, e li stringeva lievemente ‘mentre… mentre…’
‘mentre?’ disse lui, tranquillo, stringendole i capezzoli, e sorridendo.
‘mentre… mi guardavi… ballare’. Il reggiseno veniva slacciato. Lei rimase a tette all’aria davanti a lui. Il reggiseno per terra. Che tette splendide, miss culo. Un miracolo dell’antigravità. Come se ne stanno irti questi capezzoli, Miss Culo. Un bonus non da poco. Come ti chiamerò, ora, Miss Culo? Miss Culotette? Tette da premio.
‘mentre ti guardavo ballare?’ disse lui, e le prese le tette, questa volta assolutamente libere, ancora una volta una per mano.
‘si…’ lei lo guardava ancora fisso negli occhi, il sorriso tinto di eccitazione.
‘non me lo ricordo bene. Perché non me lo fai ricordare?’ Lei rise.
‘non ci credo che non te lo ricordi’ disse.
‘Fidati. Ma forse riesci a farmelo venire in mente’.
Lei continuava a ridere.
‘Bene. Balla per me, ora’. Non poteva chiedere niente di meglio. Una ragazza a tette all’aria e minigonna che gli ballava di fronte.
Lui si sedette sul divano, lei cominciò a ballare. Rideva.
‘Ballavo così?’ disse lei, ancheggiando, provocante.
‘Mi sembra proprio di si…’
‘Allora ti viene in mente a cosa pensavi?’ eccola, le tettone che ondeggiavano all’aria, e la minigonna che faceva intravedere il culo.
‘Credo di si.’ Lei continuava a ballare, avvicinandosi a lui.
‘Allora dimmi cosa ti è venuto in mente’ disse lei, sedendosi a cavalcioni su di lui. Miss culetto andava al sodo.
‘Spogliami’ disse lui.
Lei sorrise e cominciò a togliergli la maglietta. Lui cominciò a baciarle le tette. Come erano sode. Assolutamente piene, con due capezzoli dritti dritti, le areole grandi e chiare.
‘Ma non mi hai ancora detto a cosa pensavi’ disse lei, slacciandogli i pantaloni.
‘Pensavo solo a scoparti’
Lei rise. ‘Oh… ma davvero?’ Lui prese a palparle il culo.
‘Fin da subito. E la cosa che mi piace di più…’ sodo, già se la immaginava nuda. Ma ritardava a spogliarla, voleva godersi la scoperta.
‘Di me?’
‘Si, di te. La cosa che mi piace di più, la vuoi sapere?’ Eccola, l’erezione che gli stringeva i pantaloni. I pantaloni scesero giù e finalmente il pene poteva ergersi, libero. Aveva un corpo veramente stupendo, proprio come nei film, pensò lei. Ma un po’ meglio.
‘Certo che la voglio sapere’ disse lei.
‘Il tuo fantastico, meraviglioso, invintante culo’ Ora lei avrebbe riso, lui lo sapeva. Infatti rise di gusto.
‘Ah, si? Ti piace?’
Lei si alzò. Fece una piroetta, si intravidero i reggicalze e la curva invitante, perfettamente tonda.
Lui la prese per mano e la portò nella stanza di fianco, dove campeggiava un enorme letto con le lenzuola bianche.
‘Togliti anche la gonna, adesso’ Lei lo fece, obbediente. Una fantastica culotte. E reggicalze. La ragazza era pronta per qualsiasi evenienza. Evviva l’inventore delle culotte, dei reggicalze, e dei reggiseno a balconcino.
Allora la baciò. Si accorse che non l’aveva ancora baciata. Aveva un sapore di fragole e di alcol. Ebbe un’improvvisa voglia di leccarla tutta, come un enorme lecca-lecca. La distese sul letto. La lingua scivolò dalla bocca verso le orecchie, verso il collo, più giù, verso le tettone da leccare, da tenere in mano fino a stancarsene, verso i capezzoli da succhiare, verso i capezzoli con cui giocare con la lingua. Lei respirava sempre più affannosamente. Era nuda, splendida, i capelli spettinati sul guanciale.
‘Allora, me lo dai ‘sto culo o cosa?’
Lei rise. ‘Ci devo ancora pensare, non mi hai convinta. Se fai il bravo, forse.’
Ma si, era una di quelle che voleva essere presa. Non voleva altro che essere presa e spostata a piacimento.
Allora prese la culotte in mano e la sfilò via, lentamente. Lei gli sorrideva.
‘Sto facendo il bravo?’ disse, sorridendo.
‘Non c’è male’ disse lei, le gambe semiaperte.
Se la guardava davanti, nuda, disposta a qualsiasi cosa.. Le stava sopra inginocchiato, con le gambe divaricate, il cazzo venoso e gonfio, dritto verso il cielo, turgido. Le mani gli fremevano, voleva metterle dappertutto Partì dalle tette, si soffermò sui capezzoli, li tenne in mano, rigirandoseli tra pollice e indice, come le manopole di una radio da sintonizzare.
‘Vediamo se divento sempre più bravo’ disse lui, stringendo sempre di più. Lei gemette di piacere.
Poi le mani scesero. Arrivarono ai fianchi, poi scesero sulle cosce, che divaricarono. E mentre divaricava le gambe, cominciava a baciare i capezzoli, girandoseli nella bocca. Poi discese verso la figa, quasi rasata – quella striscia invitante di peli! – che leccò brevemente. Non troppo, altrimenti viene subito. Aveva ancora da divertirsi. E lei era già bagnatissima.
Lui alzò il viso dalla figa di lei. Lei ansimava. Miss culo, sta arrivando il tuo momento.
Le porse un dito, che lei leccò tutto, vogliosamente, come se per tutto il tempo non avesse desiderato altro.
Lui portò il dito inumidito di saliva giù, oltre alla figa, verso il buchetto. Lo inumidì per bene.
‘Ti ho fatta salire qui solo per questo, lo sai?’
‘Per… cosa…’ diceva lei, ansimando
‘Per mettertelo in culo… perciò ora voltati tesoro’. Lei ubbidì, si mise a pancia ingiù, mostrandogli le splendide natiche. Eccola disposta a dare il culo.
‘Alza quel culetto fantastico, più su’ eccola che si metteva a culo per aria, allargando perfino le gambe, per farsi inculare per bene.
Era un culo veramente fantastico. Due chiappone da primo premio, tonde, liscie, da palpare fino allo sfinimento. Un buchetto in cui infilare il cazzo, pronto, inumidito, aperto.
‘E ora fatti inculare come si deve’ disse lui. Lei gemette. Il cazzo si appoggiò tra le natiche, poi premette dentro quel fantastico buchetto, e poi spinse, spinse. Lei gemeva incontrollabilmente.
‘Fattelo… mettere… in… culo…’ diceva lui, mentre le teneva i fianchi, e pompava il cazzo dentro il buchetto, con forza, con impeto. Lei ormai gridava dal piacere.
Il cazzo entrava ed usciva.
‘Ti piace?’ disse lui, ansimando. Godeva alla grande.
‘Si… si… si…’
‘Dimmi che ti piace fartelo mettere in culo’
‘Mi piace… farmelo… mettere… in… culo’
‘C’hai un culo da favola. Da quando l’ho visto non ho voluto altro che metterci il cazzo in mezzo…’
Lei gemeva.
‘Ti ho visto come sculettavi. Mi sono detto, questa me la scopo stanotte stessa. Anzi, me la inculo. Ti piace essere inculata?’
Lei ansimava. Lui le cercava le tette dondolanti, le prese, e continuò a fotterla tenendole i capezzoli stretti tra le dita.
‘Mi piace… essere… inculata’ ormai non capiva più niente. Era solo puro piacere.
Poi, dopo un paio di ultimi colpi decisivi, finalmente lui venne, sborrandole i primi schizzi nel culo, poi sfilandolo dal buco ormai morbido e cedevole, le schizzò le ultime dense gocce in mezzo a quelle natiche stupende e lussuriose.
Moon, Miss culo, una performance da dieci e lode. Ora poteva capire perché si era fatta chiamare Moon. Perché aveva un Culo da luna….piena!
Le sorrise e pensò che le avrebbe fatto rifare le scale fino al
suo appartamento molte altre volte.
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